C O L O R I S M O
La rinascita dell’ismo
La rinascita dell’ismo
Con la caduta delle torri gemelle a New York, l’arte, che negli ultimi venti anni aveva trovato nelle gallerie americane il proprio spazio espositivo, sembra essersi fermata, come del resto, per un breve periodo, anche il resto delle attività umane.
Dalle macerie della civiltà nessuna luce sembra balenare e le arti, da sempre specchio fedele della società, sembrano essersi stabilmente assestate verso un nulla espressivo di difficile interpretazione.
Come sempre, così almeno la storia sembra averci insegnato, dopo una catastrofe gli sciacalli del pensiero si attivano per rivisitare esperienze o intuizioni, cercando nella tragedia stessa la leva emotiva che dovrebbe riavvicinare l’uomo alla cultura.
Ma in questo caso, la mancanza di un progetto comune, l’assenza totale, fino a questo istante perlomeno, di un genio espressivo, che raccolga e semplifichi le esperienze, non ha prodotto i risultati sperati. Cioè un nuovo linguaggio artistico di forte impatto sociale ed emotivo.
La tragedia allontana l’uomo dalla serenità, per giungere alla quale l’arte e la cultura in genere hanno sempre offerto il loro contributo, la cinematografia è implosa su se stessa producendo tutto il contrario di quello che si poteva immaginare, non terribili pellicole sulla distruzione americana, non filmati terroristici in presa diretta, ma immagini di una vita e di una società che ha osservato il pericolo in faccia senza curarsi troppo di sconfiggerlo, un’umanità non triste e paurosa, ma sostanzialmente indifferente e terribilmente inconscia del pericolo scampato.
Se da un lato questo atteggiamento non programmato, questa risposta alla morte così spontaneamente remissiva ha generato una volontà di ricostruire immediata, dall’altro ha semplificato i processi psicologici e sociali di ripresa, tralasciando una presa di coscienza del problema e il rancore e l’odio verso la distruzione.
Lungi da me sperare che questi sentimenti prendano il sopravvento, è pur vero che la mancanza di sentimenti di rivincita ha generato nel panorama culturale una mancata attività, una totale assenza di quella pletora di immagini di morte e catastrofe che ci si sarebbe aspettati di vedere.
Di contro anche l’idillio di una società senza più morte e distruzione non ha rigenerato gli animi, non li ha spinti all’idealismo e alla creazione della società perfetta.
Ciò che è mancato è la rinascita. La costruzione di se stessi attraverso il dolore.
Se l’arte, e soprattutto la pittura, ha sempre rappresentato o una realtà fittizia di colori e forme, oppure quella reale e vissuta; dopo la tragedia newyorchese la figurazione artistica non ha saputo collocarsi e riflettere su se stessa. Non si è lasciata percorrere dai fremiti distruttivi, dalle immagini catastrofiche e apocalittiche alle quali la televisione per molti giorni ha dato spazio.
Ma essendo la televisione stessa una immagine ripetuta all’infinito, questo atteggiamento potrebbe essere giustificato. Troppe volte l’aereo killer ha sorvolato le torri, troppe volte uomini e pietre sono crollati davanti ai nostri occhi, per rivedere su carta le stesse immagini.
Da questo stato di cose, da questa possibilità di tutto ricavabile dal niente, non si è giunti a nessuna conclusione, niente dal nulla è stato ricavato, niente si è prodotto.
La rinascita dell’ismo è inevitabile. Considerare il crollo della civiltà industriale come la base dalla quale far risorgere qualsiasi tipo di attività, è una condizione senza la quale nessun tipo di argomentazione diviene possibile.
Dalle macerie risorge la luce, ma dopo questa tragedia, le lampade degli animi si sono definitivamente spente, o la loro luce è talmente fioca da illuminare il ricordo, solamente.
La rinascita dell’ismo avviene dopo una lunga analisi, di quanto sinora dipinto, e si propone come il primo movimento programmatico dall’anno zero, l’anno della fine e della distruzione.
Il colorismo parte dal presupposto che la pittura sia la chiave di salvezza per l’annullamento del ricordo e della memoria storica, e che senza la sua capacità distensiva e purificatrice, l’animo umano pecchi di attivismo e forza cieca.
Per la prima volta si ha la possibilità di ricostruire un linguaggio pittorico partendo da zero, di rifondarne le leggi ed i canoni, senza dover rendere conto ( non troppo almeno) alle realtà artistiche del passato.
Il colorismo parte dal presupposto che il colore, inteso come massa dipinta, sia l’elemento dominante dell’opera, senza il quale, prima ancora della forma, la parola pittura non trova il suo completo significato.
Il colore come parte dominante del dipinto, colore steso con il pennello o la spatola, rispettando, gestualmente parlando, la maestria pittorica dei grandi artisti del passato.
Il fare pittorico, inteso come mestiere artigianale, è l’elemento dominante, non più performances strutturali o eventi mediatici, ma, nel rispetto della tradizione una pittura basata sul colore violento o tonale, densa o diluita in giochi chiaroscurali, un bel dipingere insomma alla maniera impressionista o barocca.
Dalle macerie della civiltà nessuna luce sembra balenare e le arti, da sempre specchio fedele della società, sembrano essersi stabilmente assestate verso un nulla espressivo di difficile interpretazione.
Come sempre, così almeno la storia sembra averci insegnato, dopo una catastrofe gli sciacalli del pensiero si attivano per rivisitare esperienze o intuizioni, cercando nella tragedia stessa la leva emotiva che dovrebbe riavvicinare l’uomo alla cultura.
Ma in questo caso, la mancanza di un progetto comune, l’assenza totale, fino a questo istante perlomeno, di un genio espressivo, che raccolga e semplifichi le esperienze, non ha prodotto i risultati sperati. Cioè un nuovo linguaggio artistico di forte impatto sociale ed emotivo.
La tragedia allontana l’uomo dalla serenità, per giungere alla quale l’arte e la cultura in genere hanno sempre offerto il loro contributo, la cinematografia è implosa su se stessa producendo tutto il contrario di quello che si poteva immaginare, non terribili pellicole sulla distruzione americana, non filmati terroristici in presa diretta, ma immagini di una vita e di una società che ha osservato il pericolo in faccia senza curarsi troppo di sconfiggerlo, un’umanità non triste e paurosa, ma sostanzialmente indifferente e terribilmente inconscia del pericolo scampato.
Se da un lato questo atteggiamento non programmato, questa risposta alla morte così spontaneamente remissiva ha generato una volontà di ricostruire immediata, dall’altro ha semplificato i processi psicologici e sociali di ripresa, tralasciando una presa di coscienza del problema e il rancore e l’odio verso la distruzione.
Lungi da me sperare che questi sentimenti prendano il sopravvento, è pur vero che la mancanza di sentimenti di rivincita ha generato nel panorama culturale una mancata attività, una totale assenza di quella pletora di immagini di morte e catastrofe che ci si sarebbe aspettati di vedere.
Di contro anche l’idillio di una società senza più morte e distruzione non ha rigenerato gli animi, non li ha spinti all’idealismo e alla creazione della società perfetta.
Ciò che è mancato è la rinascita. La costruzione di se stessi attraverso il dolore.
Se l’arte, e soprattutto la pittura, ha sempre rappresentato o una realtà fittizia di colori e forme, oppure quella reale e vissuta; dopo la tragedia newyorchese la figurazione artistica non ha saputo collocarsi e riflettere su se stessa. Non si è lasciata percorrere dai fremiti distruttivi, dalle immagini catastrofiche e apocalittiche alle quali la televisione per molti giorni ha dato spazio.
Ma essendo la televisione stessa una immagine ripetuta all’infinito, questo atteggiamento potrebbe essere giustificato. Troppe volte l’aereo killer ha sorvolato le torri, troppe volte uomini e pietre sono crollati davanti ai nostri occhi, per rivedere su carta le stesse immagini.
Da questo stato di cose, da questa possibilità di tutto ricavabile dal niente, non si è giunti a nessuna conclusione, niente dal nulla è stato ricavato, niente si è prodotto.
La rinascita dell’ismo è inevitabile. Considerare il crollo della civiltà industriale come la base dalla quale far risorgere qualsiasi tipo di attività, è una condizione senza la quale nessun tipo di argomentazione diviene possibile.
Dalle macerie risorge la luce, ma dopo questa tragedia, le lampade degli animi si sono definitivamente spente, o la loro luce è talmente fioca da illuminare il ricordo, solamente.
La rinascita dell’ismo avviene dopo una lunga analisi, di quanto sinora dipinto, e si propone come il primo movimento programmatico dall’anno zero, l’anno della fine e della distruzione.
Il colorismo parte dal presupposto che la pittura sia la chiave di salvezza per l’annullamento del ricordo e della memoria storica, e che senza la sua capacità distensiva e purificatrice, l’animo umano pecchi di attivismo e forza cieca.
Per la prima volta si ha la possibilità di ricostruire un linguaggio pittorico partendo da zero, di rifondarne le leggi ed i canoni, senza dover rendere conto ( non troppo almeno) alle realtà artistiche del passato.
Il colorismo parte dal presupposto che il colore, inteso come massa dipinta, sia l’elemento dominante dell’opera, senza il quale, prima ancora della forma, la parola pittura non trova il suo completo significato.
Il colore come parte dominante del dipinto, colore steso con il pennello o la spatola, rispettando, gestualmente parlando, la maestria pittorica dei grandi artisti del passato.
Il fare pittorico, inteso come mestiere artigianale, è l’elemento dominante, non più performances strutturali o eventi mediatici, ma, nel rispetto della tradizione una pittura basata sul colore violento o tonale, densa o diluita in giochi chiaroscurali, un bel dipingere insomma alla maniera impressionista o barocca.
Con questa opera intitolata Nuit, intendo aprire il mio manifesto di propaganda pittorica, una tela dove il colore domina la scena i blu oltremare ed i neri tingono di lutto la notte della rinascita, dove la luce della civiltà risorge, come la pittura, dalle macerie della tragedia.
Il paesaggio torna rurale, la terra chiama i suoi figli alla coltivazione ed al lavoro, i campi arati segnano il ritorno all’antico, al mestiere manuale, alla rinascita da zero.
Marco Josto Agus
Avezzano, 9 novembre 2002
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