venerdì 7 marzo 2008

VECCHIO UOMO CHE TI SCORSI VAGAMENTE...

Senza titolo
(Vecchio uomo che ti scorsi vagamente…)

Vecchio uomo che ti scorsi vagamente,
su di una banchina assolata,
noncurante,
o lavoratore,
solo tra la gente.

Mi assillò e tormentò
la tua faccia,
così dura,
selva,
folta,
diaccia.

Ne voglio fare un ritratto,
dall'occhio
un pazzo raggio!

Vivrai in eterno o capostazione.
Vivrai per me,
ignaro del futuro.
E vedrai,
o solo tra la gente,
nel nero
della tela,
nel bianco
del torpore,
uscire fuori
la tua faccia,
diaccia,
o capostazione.



Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)

OGGI NEL CUORE HO TRISTI PRESAGI...

senza titolo
(Oggi nel cuore ho tristi presagi…)

Oggi nel cuore ho tristi presagi
giardini innevati e alberi spogli
sentieri bagnati da lacrime umane.

Echeggiano al tremulo sole
fronde squarciate e morenti
bruni e marroni coprono la via
che si snoda tra calli e colline.

Creature volanti annegano il cielo
corvi sguaiati posano sazi
su rami sfiniti e eterne rovine
annunciando ancora una volta l’imminenza
della fine.

Oggi nel cuore ho vaghi presagi
che spogliano l’anima dei turpi
lazzi
restano solo la neve e l’oblio il
nero e il domani che incombe dolente
sul mio colpevole esser vivente_

Novembre ‘98

Marco Josto Agus
(dal suo Diario nov.’95 dic.’99, annotata con il n. 42)

LUCE INGANNATRICE, CANGIANTE...

Senza titolo
(LUCE INGANNATRICE, CANGIANTE…)

Luce ingannatrice,
cangiante,
ammaliante,
assillo moderno,
ignara al timido solingo,
potente scoperta,
ti irradi,
con sensuale moto
sui fiori languidi,
che aspettano con
labbra aperte
la tua percossa,
che mutandoli nella corolla
li spezza,
li smembra,
li scolora.
Colori diversi mai visti,
moderni e corposi,
sculture di cromi,
rilievi di vita,
fiori di nuova luce,
finchè permane,
finchè il lavoro
non richieda il suo pegno,
io vivo per loro,
grumi di sangue pesto,
ma segni tangibili
di una vita sicura,
decisa,
potente e solitaria.
Finchè dura.


Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 nov.’99)

ROSSO CORPOSO, COSTOSO...

Senza titolo
(ROSSO CORPOSO, COSTOSO…)

Rosso corposo, costoso,
mai impastato,
ti scontri soccombendo
con il verde fogliame
di fiori di scarto,
regali di amici,
steli recisi,
acque corrose,
putride del calore del sole,
arancio sposo dell’azzurro,
amore odio,
complementare resolutore
di inermi lugubrazioni,
tagli spaziali di rami morti,
spezzati,
disposti con cautela
sotto un cielo di cardi azzurri.

Ecco,
lo sfondo blu chiaro,
compatto,
omogeneo
che racchiude
entro un unico velo di sole
la composizione simbolo di vita,
suggello di speranza,
la morte è vicino,
dietro la stanza!

Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 nov.’99 annotata con il n.”8”)

FALSA RELIGIOSITA'

- FALSA RELIGIOSITA’ -

I Fuochi stridono su prati
bagnati, risuonano echi
religiosi, sopiti, taciuti
o mai veramente sentiti.

Tutti accorrono al richiamo
festoso, a nessuno preoccupa
lo scheletro eburneo
che sostiene le cose,
vino, bancarelle e crocchi ebbri
e danzanti,
ma dove sono i ceri
(e) dove sono i santi?


marco josto agus
(dal suo Diario nov. ’95 dic. ’99, indicata dall’Autore con il n.”20”)

giovedì 14 febbraio 2008

VISIONARE UN QUADRO...

Visionare un quadro…

“Visionare un quadro
è entrare nell’anima di chi crea immagini chiare…

Interpretare i colori
è ascoltare la sua voce…”



Marco Josto Agus
Dalla locandina della sua Prima Personale Aprile 2002

ROSSO ROVENTE CHE SCALDI LA TELA...

Senza titolo
(Rosso rovente che scaldi la tela…)

Rosso rovente
che scaldi la tela,
dividi e sublimi
l'oltremare violento,
che si staglia,
compatto,
su prati squadrati
e cieli piovosi.

Il verde appassito
rincorre la fine
giungendo,
tra note fluviali,
remoti orizzonti
compressi e quiescenti.

Nero di morte
che attanagli i colori,
pressandoli entro
triangoli informi.

Tutto si scioglie,
sotto colpi infuocati,
di note,
pennelli e pensieri,
il colore trionfa
su forme e soggetto.

E’ l'esaltazione pura
del mio ebbro intelletto.




Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)

ODE ALLA STATUETTA AFRICANA

Ode alla statuetta africana

Materna filiforme figura,
in grembo porti
il fiore della tua natura.

Fatica e dolore
affiorano
sul tuo moro viso,
scavato,
scolpito
(…)
da mani gitane,
lontane e perse
in città sconosciute,
stese per terra
tra elemosine
e merda.

L’anima sgorga
anche dal peggio,
tutto risplende
e s’irradia
di bianco raggio.

Ispirasti
il mio lume creatore,
assiso in trono
ad aspettare
il dolore.

Arrivò
Tra nero e arancione
a distruggere
ancora
quel poco
di chiara ragione.



Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)


Senza titolo
Marco Josto Agus
Esame del Corso complementare di fotografia
presso l'Accademia di Belle Arti di Roma
Anno accademico 1997-1998.

NELL'AERE INTRISTITO...

Senza titolo
(Nell’aere intristito…)

Nell'aere intristito
corrono spuri
i gatti solinghi.

A far da imbuto,
il vino scorre a fiumi.

Si sa,
l'oblio al poeta
poco si dà.

Cercando fiduciosi
quel che il poeta lascia,
dissotterriamo
della guerra
l'ascia.



Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)

L'ABISSO AZZURRO...

Senza titolo
(L’abisso azzurro…)

L'abisso azzurro
sovrasta l'arancio cielo,
tutto è invertito
e sconnesso,
il reale
sembra lontano
e cede il posto
all'ideale,
pian piano.



Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)

CRESCONO I GIORNI...

Senza titolo
(Crescono i giorni…)

Crescono i giorni,
passano lenti,
inseguendo
traguardi inesistenti;
vivono soli
con voglie nascoste,
che difficilmente
vengono esposte.

Io cerco,
trovo,
perdo
e sotterro,
tutto ciò che vedo,
tutto ciò che prendo.


Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)


COLORI, FORTI O SMORTI BAGLIORI...

Senza titolo
(Colori, forti o smorti bagliori…)

Colori,
forti o smorti bagliori,
di luce riflessa
su ampie distese
di bianco
puro e cortese.

Lento lavoro
e costante dolore
che porta
pur sempre
ad un agognato dove.

Ritorna,
scompare,
m'impossessa e scolora
questa forte passione
che si chiama pittura.

Che pretende,
come ogni donna vogliosa
che il suo amante
non la tradisca con altre,
vizi,

piaceri,
svaghi
o amori,
che distoglierlo
possano,
dai suoi artistici parti.



Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)

COLORI COMPLEMENTARI (Corrono campi di candidi gialli...)

COLORI COMPLEMENTARI
(Corrono campi di candidi gialli…)


Stridono
e s'avvinghiano,
come amanti consumati;
sazi,
placati
e consunti
dai loro stessi avidi congiunti.

Il viola si sposa col giallo,
l'azzurro ammorsa l'arancio,
tra frutti rossi
e sazianti
esaltati e sfiniti
da verdi smeraldi.

Corrono campi di candidi gialli
sublimati e sorretti
da iris violetti.
Carmìni purpurei
devastano l'aere
ombrando all'intorno
sentieri verdastri.

Corrono campi di candidi gialli
che riflettono in cielo
abbacinanti abbagli;
si infrangono onde spumose e feconde
coprendo l'arena di sementi nascenti.

Corrono campi di candidi gialli,
il viola,
l'azzurro,
il carminio straziante,
il veronese
verde di pietre preziose
con riflesse il titanico bianco
e il nero di vite.

Colori complementari
avvinghiati tra loro,
come amanti appassionati
ma ormai dall'uso tristemente sfiniti.

Occorre senz'altro rivederne l'aspetto,
carpirne i segreti,
usarli per sfondi,
prima
che la loro gloriosa funzione,
nell'oblio,
tosto
sprofondi.

Nov.'98
MANIFESTO PITTORICO
A FAVORE DELLA TEORIA DEI COLORI COMPLEMENTARI

Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)





CERCASTI CON LO SGUARDO...

Senza titolo
(Cercasti con lo sguardo…)

Cercasti con lo sguardo
il mio foglio bianco,
sulla nave leggevi!
O modella ignara.

Prendesti posa
da vetusta e da collaudata,
modella
esperta,
laida,
pagata.

Ma non potesti,
o lettrice ammaliatrice,
scorger
il frutto
dell'opra mia,
come invece
io
potei carpire
il fiore
dell'anima tua.


Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)

Marco Josto Agus

Donna che legge sulla nave

disegno a penna biro 20x30 cm. 1996

CADONO LENTI GIORNI ASSOPITI AL SOLE...

Senza titolo
(Cadono lenti giorni assopiti al sole…)

Cadono lenti
giorni assopiti al sole...
osservo la gincana tzigana
del mio cuore
stupito,
assorto
e basito
di quanto sia rosso il cielo
visto dabbasso.

Atterro
sull'amaca dondolante
che oscilla
paurosamente
nel baratro scuro,
ma saldo
son sdraiato,
aggrappato e sorretto
da potenti verità.

Scrollarmele
sfido
chiunque
di dosso,

ché credere
fino a vedere
è questa
la mia condizione.

Assaggio briciole di infinito
saziandomi, saziandomi.


Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)

ATTESE MOLESTE, DESIDERI AGOGNATI...

Senza titolo
(Attese moleste, desideri agognati…)


Attese moleste,
desideri agognati,
giorni persi,
bevuti,
disperati.

Si accende un faro
nel mare del mio sentire...
avanza solinga
l'anima su una zattera,
a remare.

Il porto è lontano,
agognato,
ma una tempesta
di rossi liquori lo manda,
sommergendolo.

La luce si disfà e scolora...
si fa dal rosso,
al viola.

Tutto tace
e tutto s'annera...
il mio corpo giunge,
sfinito,
sulla rena.


Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)

ANIMA CHE LENTA...

Senza titolo
(Anima che lenta…)

Anima che lenta
prendi vita nell'animo umano,
perché ti sottrai
ai tuoi sensi
e allontani noi tutti
dalla tua mente?

Risorgi,
indolente
come patto d'inverno,
triste e solinga
come uomo nel mondo.

Ritrovi il tuo corpo
nell'ultimo,
estremo,
astruso saluto.

Sorridendo
lo scansi,
per tornarne
in un altro.

Marco Josto Agus
(dal suo Diario dic.’95 – nov.’99)

sabato 23 giugno 2007

SHINING DI STANLEY KUBRICK

di Marco Josto Agus

Tratto dal romanzo di Stephen King, questo film diretto da Kubrick è ambientato in Colorado, sulle Montagne Rocciose e si svolge interamente all’interno dell’Overlook Hotel.
Jack Torrance, interpretato da un Magistrale Nicholson, ha accettato di fare il guardiano di un grande albergo, che durante la stagione invernale resta chiuso e totalmente isolato dal mondo. Accetta l’incarico approfittando della totale tranquillità del luogo anche per terminare il suo romanzo.
Il padrone dell’hotel lo illumina sui possibili problemi derivanti dall’isolamento e soprattutto sulla tragica fine del precedente guardiano che, sconvolto dalla claustrofobia, aveva ucciso moglie e figli togliendosi poi la vita.
Giunto all’Overlook Hotel insieme alla moglie Wendy e al figlioletto Danny, Jack Torrance pare trovarsi a suo agio nell’enorme struttura, dotata di ogni genere di comfort.
Il piccolo Danny, che possiede lo shining, cioè poteri extrasensoriali che gli permettono di vedere ciò che altri non vedono e di comunicare telepaticamente, è a sua volta messo in guardia dal capocuoco Hallorann contro i pericoli che gli avvenimenti del passato rappresentano per lui e la sua famiglia; in particolare viene consigliato di non mettere piede nella stanza 237.
Nell’albergo deserto e isolato dalla neve, Jack manifesta i primi sintomi di squilibrio e d’insofferenza e cerca di distrarsi buttandosi a capofitto nel lavoro, che si riduce però ad un accumulo di fogli nei quali scrive la stessa frase: “Molto lavoro e nessuno svago rendono Jack un ragazzo ottuso!”
Jack comincia ad “incontrarsi” con il defunto Grady, e con altri personaggi del passato, e cade in uno stato d’isolamento e tensione che lo allontanano sempre più dalla famiglia e dalla realtà.
Anche Danny ha visioni sempre più frequenti, in particolare delle due figliolette uccise da Grady, che lo rendono consapevole della minacciosità della situazione.
Wendy, a sua volta, pur non afferrando alcuna presenza estranea, si rende conto del crescente sconvolgimento del marito e tenta di chiedere aiuto per radio, ma Jack distrugge l’apparecchio.
Solo i poteri di Danny possono stabilire una comunicazione con l’esterno: Hallorann ne percepisce i segnali e accorre all’Overlook Hotel, ma viene ucciso da Jack che tenta di ammazzare il figlio e la moglie.
Inseguendo Danny nel giardino-labirinto vicino all’albergo, però, viene ingannato dal bambino e non riesce a trovare l’uscita, finendo per morire congelato.

Con questo film Kubrick voleva decisamente creare una pellicola horror, molto in voga in quegli anni, ma rimanendo fedele al suo stile cinematografico e ideologico.
Ricorre ad elementi tipici della tradizione horror, come l’albergo costruito su di un cimitero, il patto con il diavolo (quando Grady convince Jack ad uccidere la sua famiglia), la necrofilia (Jack in una scena viene sedotto da una donna che poi però si rivela una vecchia putrescente).
Kubrick pone l’accento su questi elementi con occhio estremamente razionale, da spettatore, creando un film per immagini nitide e chiarissime, e per questo ancora più inquietanti.
La consapevolezza del dramma e della paura si ha perché quanto accade è estremamente reale, o potrebbe esserlo potenzialmente, in quanto è un dramma psicologico, derivato dalla follia e dall’isolamento.
Non sono quindi le poche scene esplicitamente horror, quelle cioè dell’omicidio di Hallorann o delle cascate di sangue che inondano l’Hotel, a creare spavento nello spettatore, quanto piuttosto l’estrema tensione psicologica che si respira per tutta la durata del film.
Il nome stesso dell’Hotel, Overlook, che significa vedere, stravedere, pone l’accento su un aspetto fondamentale del film, cioè la capacità di Danny, di vedere oltre la realtà grazie allo shining, che se da un lato rende inquieto il bimbo attraverso visioni di morte e disperazione, dall’altro gli permettono di salvarsi dal padre grazie alla lucidità e alla calma che lo sorreggono nei momenti di estrema tensione.
In quest’ottica Kubrick fa cambiare Danny d’abito ad ogni scena a dimostrazione della sua vitalità rispetto alla morte interiore del padre e successivamente della madre.
E’ senz’altro Danny il protagonista psicologico del film, la chiave di lettura e l’unico capace di salvarsi.
Danny prima di partire per l’Hotel percepisce già che si andrà incontro ad un dramma ma proprio per questo nel momento in cui esso si manifesta è più lucido degli altri nell’affrontarlo. Il dramma di Danny consiste nel non poter far nulla per poter salvare i suoi familiari ed assistere impassibile allo sconvolgente finale.
Il film in quest’ottica si legge anche come una metafora della vita, vista come lotta per la sopravvivenza nella quale soltanto il più forte, in questo caso il più intelligente, esce vincitore. L’arma che Danny userà per sconfiggere il padre invaso dalla furia omicida, sarà proprio quella che il padre ha perso, cioè la lucidità.
Jack Torrance, ex professore di letteratura, appare all’inizio del film come una persona estremamente razionale e sicura di sé e, al contempo, creativa poiché approfitterà del lavoro per ultimare di scrivere il romanzo della sua vita.
Nulla pare sconvolgerlo e poco credito offre alle raccomandazioni del padrone dell’hotel.
Ecco un uomo sembra dirci Kubrick capace di sostenere qualsiasi problema. Ma i problemi che Torrance dovrà affrontare non sono quelli per i quali è stato abituato a combattere, casa, stipendio, professione, famiglia, ma riguardano l’altra medaglia di essere uomo, cioè l’intelligenza e la lucidità psicologica.
Kubrick ci fa comprendere come questi due elementi sono indispensabili per poter sopravvivere nella giungla materiale e psicologica che è la vita, e che mancando l’uno, l’altro prende il sopravvento sconvolgendo la nostra esistenza.
Jack Torrance perderà il lume della ragione, perché si è imbarcato in un’impresa più grande di lui, non considerando tutte le possibili difficoltà derivanti.
Quella con cui viene a scontrarsi e purtroppo a soccombere non è la difficoltà del lavoro di guardiano, per la verità fin troppo semplice, quanto piuttosto la convivenza forzata con se stesso e quindi con la sua mente. L’isolamento forzato, l’eccessivo accanimento nel lavoro logorano psicologicamente Jack Torrance che reagisce in modo violento, scagliandosi sui suoi familiari.
Kubrick però non è così intellettuale da non porre soluzioni concrete a questo problema, ed, infatti, Jack Torrance avrebbe nell’amore della moglie e nell’affetto del figlio le sue chiavi di salvezza. E lo stesso Jack dovrebbe rendersi conto del crescente problema nel momento in cui meccanicamente scrive: “molto lavoro e poco svago rendono Jack un ragazzo ottuso”. La soluzione è lì, sembra dirci Kubrick, a portata di mano. E’ lo stesso Jack ad accorgersene inconsciamente e a scriverlo, ma lo svago non può trovarlo da solo, e la salvezza non è in lui.
A questo punto subentra la figura della moglie-madre Wendy che, oscuramente resta nell’ombra per tutta la durata del film. Moglie poco affettuosa e madre eccessivamente premurosa, Wendy non sa con certezza quale ruolo assumere. Intellettualmente attiva ma non certo geniale, è l’ombra del marito e la gabbia del figlio. Incapace di sorreggere e distogliere il marito ai primi sintomi di squilibrio, quello svago di cui Jack ha bisogno altri non sono che l’affetto e il calore di una donna, e giustamente indifesa di fronte alla violenza fisica del marito, Wendy appare spaesata e totalmente succube degli avvenimenti.
Il suo riscatto finale si ha immolando se stessa per la salvezza del figlio, gesto ultimo e disperato che però non certo semplificherà il futuro di Danny, pur salvandolo.
Ora, sembra dirci Kubrick, il dramma si consuma laddove i ruoli familiari si invertono o si negano, dove l’uomo cogitans cessa di essere tale e cerca di riconquistare il suo primato con la violenza, dove la donna trascurata nega il suo amore all’uomo riversandolo in maniera morbosa sul figlio, e dove Danny privato del suo ruolo di figlio, si salva grazie allo shining.
In questo gioco al massacro, in questa ottica del “mors tua vita mea”, tutti escono sconfitti : Jack muore congelato nel tentativo di uccidere il figlio, Wendy soccombe al marito e Danny, pur salvandosi, affronterà la vita come orfano.
---
Tesina di Psicologia dell’Arte discussa con il Prof. Sergio Lombardo per l’esame di Fenomenologia delle Arti Contemporanee, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, anno accademico 2000/2001.

domenica 10 giugno 2007

COLORISMO

C O L O R I S M O

La rinascita dell’ismo





Con la caduta delle torri gemelle a New York, l’arte, che negli ultimi venti anni aveva trovato nelle gallerie americane il proprio spazio espositivo, sembra essersi fermata, come del resto, per un breve periodo, anche il resto delle attività umane.
Dalle macerie della civiltà nessuna luce sembra balenare e le arti, da sempre specchio fedele della società, sembrano essersi stabilmente assestate verso un nulla espressivo di difficile interpretazione.
Come sempre, così almeno la storia sembra averci insegnato, dopo una catastrofe gli sciacalli del pensiero si attivano per rivisitare esperienze o intuizioni, cercando nella tragedia stessa la leva emotiva che dovrebbe riavvicinare l’uomo alla cultura.
Ma in questo caso, la mancanza di un progetto comune, l’assenza totale, fino a questo istante perlomeno, di un genio espressivo, che raccolga e semplifichi le esperienze, non ha prodotto i risultati sperati. Cioè un nuovo linguaggio artistico di forte impatto sociale ed emotivo.
La tragedia allontana l’uomo dalla serenità, per giungere alla quale l’arte e la cultura in genere hanno sempre offerto il loro contributo, la cinematografia è implosa su se stessa producendo tutto il contrario di quello che si poteva immaginare, non terribili pellicole sulla distruzione americana, non filmati terroristici in presa diretta, ma immagini di una vita e di una società che ha osservato il pericolo in faccia senza curarsi troppo di sconfiggerlo, un’umanità non triste e paurosa, ma sostanzialmente indifferente e terribilmente inconscia del pericolo scampato.
Se da un lato questo atteggiamento non programmato, questa risposta alla morte così spontaneamente remissiva ha generato una volontà di ricostruire immediata, dall’altro ha semplificato i processi psicologici e sociali di ripresa, tralasciando una presa di coscienza del problema e il rancore e l’odio verso la distruzione.
Lungi da me sperare che questi sentimenti prendano il sopravvento, è pur vero che la mancanza di sentimenti di rivincita ha generato nel panorama culturale una mancata attività, una totale assenza di quella pletora di immagini di morte e catastrofe che ci si sarebbe aspettati di vedere.
Di contro anche l’idillio di una società senza più morte e distruzione non ha rigenerato gli animi, non li ha spinti all’idealismo e alla creazione della società perfetta.
Ciò che è mancato è la rinascita. La costruzione di se stessi attraverso il dolore.
Se l’arte, e soprattutto la pittura, ha sempre rappresentato o una realtà fittizia di colori e forme, oppure quella reale e vissuta; dopo la tragedia newyorchese la figurazione artistica non ha saputo collocarsi e riflettere su se stessa. Non si è lasciata percorrere dai fremiti distruttivi, dalle immagini catastrofiche e apocalittiche alle quali la televisione per molti giorni ha dato spazio.
Ma essendo la televisione stessa una immagine ripetuta all’infinito, questo atteggiamento potrebbe essere giustificato. Troppe volte l’aereo killer ha sorvolato le torri, troppe volte uomini e pietre sono crollati davanti ai nostri occhi, per rivedere su carta le stesse immagini.
Da questo stato di cose, da questa possibilità di tutto ricavabile dal niente, non si è giunti a nessuna conclusione, niente dal nulla è stato ricavato, niente si è prodotto.
La rinascita dell’ismo è inevitabile. Considerare il crollo della civiltà industriale come la base dalla quale far risorgere qualsiasi tipo di attività, è una condizione senza la quale nessun tipo di argomentazione diviene possibile.
Dalle macerie risorge la luce, ma dopo questa tragedia, le lampade degli animi si sono definitivamente spente, o la loro luce è talmente fioca da illuminare il ricordo, solamente.
La rinascita dell’ismo avviene dopo una lunga analisi, di quanto sinora dipinto, e si propone come il primo movimento programmatico dall’anno zero, l’anno della fine e della distruzione.
Il colorismo parte dal presupposto che la pittura sia la chiave di salvezza per l’annullamento del ricordo e della memoria storica, e che senza la sua capacità distensiva e purificatrice, l’animo umano pecchi di attivismo e forza cieca.
Per la prima volta si ha la possibilità di ricostruire un linguaggio pittorico partendo da zero, di rifondarne le leggi ed i canoni, senza dover rendere conto ( non troppo almeno) alle realtà artistiche del passato.
Il colorismo parte dal presupposto che il colore, inteso come massa dipinta, sia l’elemento dominante dell’opera, senza il quale, prima ancora della forma, la parola pittura non trova il suo completo significato.
Il colore come parte dominante del dipinto, colore steso con il pennello o la spatola, rispettando, gestualmente parlando, la maestria pittorica dei grandi artisti del passato.
Il fare pittorico, inteso come mestiere artigianale, è l’elemento dominante, non più performances strutturali o eventi mediatici, ma, nel rispetto della tradizione una pittura basata sul colore violento o tonale, densa o diluita in giochi chiaroscurali, un bel dipingere insomma alla maniera impressionista o barocca.





Con questa opera intitolata Nuit, intendo aprire il mio manifesto di propaganda pittorica, una tela dove il colore domina la scena i blu oltremare ed i neri tingono di lutto la notte della rinascita, dove la luce della civiltà risorge, come la pittura, dalle macerie della tragedia.



Il paesaggio torna rurale, la terra chiama i suoi figli alla coltivazione ed al lavoro, i campi arati segnano il ritorno all’antico, al mestiere manuale, alla rinascita da zero.



Marco Josto Agus
Avezzano, 9 novembre 2002

sabato 9 giugno 2007

MARCO JOSTO AGUS la storia

marco josto agus 1^ Personale avezzano 21 aprile 2002

Marco Josto Agus nasce a Roma il 9 giugno 1978.

Consegue la Maturità Classica nel 1997 e, successivamente, frequenta l'Accademia di Belle Arti di Roma dove consegue il Diploma in Pittura nel 2002, discutendo la tesi "Poetiche Incisioni", incentrata sul parallelo artistico-letterario tra Umberto Saba e Giorgio Morandi.
Titolato all'insegnamento di "Disegno" presso le Scuole Medie ed i Licei Scientifici.
Dal 1995 al 1997, frequenta a Cagliari lo studio del Pittore Luigi De Giovanni perfezionando le tecniche olio ed acquerello.
Contemporaneamente agli studi accademici, frequenta il Corso biennale della "Scuola Libera del Nudo - Disegno dal vero della modella". Sempre in ambito accademico, si specializza in "Incisione, Acquaforte, Acquatinta e Puntasecca".
Vincitore di 3 Borse di Studio (ADISU) per meriti Universitari.
Vincitore del "Premio Incisione su Ardesia" indetto dal Comitato Ardesia" di Lavagna (GE). Significativamente e per ragioni strettamente personali, ha voluto che tale Premio fosse poi attribuito e consegnato ad un suo Collega di studi.
Nel 1997 espone presso la Galleria "Mentana" in Firenze; nello stesso anno, promotore del progetto "Pittura, Musica e Poesia", presenta i suoi lavori presso il Castello Orsini, in Avezzano (AQ).
Nel 1998, collabora alla realizzazione delle opere "Visione Onirica", "Interno Metafisico" e "Giardino degli Ornelli", nell'ambito di rapporti Artistico - Istituzionali tra l'Accademia di Belle Arti di Roma ed il Comando Carabinieri del Ministero delle Politiche Agricole in Roma, ove le opere sono permanentemente collocate.
Nell'aprile del 2002 in Avezzano, propone quella che sarà la sua prima ed unica "Personale" ed in novembre, nella stessa città, partecipa ad una Mostra Collettiva presso la Galleria d'Arte Moderna".
Nel 2003-2004 partecipa, invitato dal Comune di Avezzano - su segnalazione del "Comitato Scientifico" preposto alla "Ricognizione dell'Arte visiva attualmente espressa nell'area Marsa" - alla "Rassegna Generazioni a Confronto".
Valente pianista; poeta; appassionato studioso di Dostoevskij e profondo conoscitore di Van Gogh (suo è il saggio critico-letterario sulle "affinità artistico-religiose" tra questi due Artisti); autore di "Tesina di psicologia dell'Arte" e di critiche sull'Arte.
Ha svolto servizio civile sostitutivo quale operatore presso l'ANFASS di Avezzano, esplicando attività di sostegno inerenti alle proprie peculiarità artistiche a favore dei diversamente abili.
Autore di numerosissime opere pittoriche (oli, acquerelli, chine, sanguigne, incisioni in varie tecniche, acqueforti, pastelli a cera, matite grasse, disegni); scritti e critiche sull'Arte; poesie e saggi; "lettere a Van Gogh".
"Colorismo" e “Manifesto a favore della teoria dei colori complementari” sono i titoli di ciò che ha definito "il mio manifesto pittorico”.
Dal 23 febbraio 2004, accompagnato dalle carezze della madre che lo ha preceduto, percorre la luminosa e fiorita strada dell'Eternità.